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Assumersi la responsabilità della propria salute e della propria felicità - 2. Il gioco delle cause

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Assumersi la responsabilità della propria salute e della propria felicità
2. Il gioco delle cause
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2. Il gioco delle cause

Quando si affronta il problema del contenuto, cioè del messaggio della malattia, la medicina tradizionale va alla ricerca delle cause, poiché, come le altre scienze naturali, parte dalla premessa che tutto ha un motivo le cui radici vanno ricercate nel passato. Trovare ed eliminare queste cause è il suo scopo. La medicina tradizionale critica gli altri approcci definendoli non scientifici, un rimprovero che, come dimostreremo, le si ritorce contro.

Ciò che colpisce in questo concetto di causa è la sua limitazione. Si indaga, infatti, in una sola direzione, cioè verso il passato e si pone la domanda-standard «perché?» una o al massimo due volte. Naturalmente si potrebbe cercare anche in altre direzioni e porre tutte le domande che si vuole. Perché mi sono preso il raffreddore? A tale interrogativo la medicina tradizionale potrebbe fornire questa risposta, nel complesso accettabile: «Perché due giorni fa sono stato contagiato da un virus». Ma perché mai il virus è riuscito a contagiarmi? - «Perché il mio sistema immunitario era indebolito». Anche qui si potrebbe continuare a investigare: Perché il sistema immunitario era indebolito? La risposta toccherà prima o poi l'eredità genetica: «Perché ho ereditato questo sistema immunitario, dai miei genitori». Ma perché i miei genitori mi hanno trasmesso proprio questo sistema immunitario? Il nuovo interrogativo ci porta ai nonni, che a loro volta hanno ereditato il loro sistema dai genitori e così via. Alla fine arriveremo ad Adamo ed Eva e alla domanda: Perché i primi uomini avevano ricevuto proprio questo sistema immunitario? Con questa tecnica investigativa «più scientifica» potremmo risalire ancora indietro nel tempo fino ad arrivare al Big Bang e il seguente interrogativo rimarrebbe in ogni caso senza risposta: Perché - per volontà di Dio - improvvisamente all'inizio di tutto c'è stato il Big Bang?

Il principio della causalità è a prima vista convincente, ma, considerato più da vicino, rivela certe precise debolezze, la principale delle quali è che, in ultima analisi, non rende giustizia alla realtà, come ci spiega la fisica moderna. Come scienza più progredita della altre, essa ha superato i limiti di una concezione del mondo meccanicista, basata sulla causalità e l'ha confutata.

I fisici, grazie alle loro ricerche sulle particelle atomiche, sono arrivati ad una svolta decisiva non solo per la medicina: hanno infatti scoperto che tutte le particelle, perfino i fotoni, possiedono un antipolo speculare. Ogni particella possiede una gemella ad essa opposta in tutto. Fu Einstein il primo a verificare che, sollecitando una delle due particelle gemelle e lasciando l'altra in uno stato di quiete, nel momento in cui avveniva il cambiamento di stato della prima, sorprendentemente anche l'altra subiva un'analoga trasformazione, che permetteva loro di mantenere i ruoli polari opposti. Ancora di più sorprendente era il fatto che entrambe le trasformazioni avvenivano nello stesso momento, il che impediva di spiegare in che modo avvenisse lo scambio di informazioni.

L'inglese John Bell riuscì infine a dimostrare matematicamente che le particelle derivanti da una fonte unica restano sempre in collegamento in maniera non comprensibile logicamente e non causale. Il teorema di Bell fa ancora un passo avanti, cioè non riguarda soltanto il campo subatomico delle microscopiche particelle, ma ha una validità generale. In questo modo il principio di causalità è stato contraddetto, o meglio, è diventato un modello esplicativo che consente soltanto di avvicinarsi alla realtà.

Se si considera che, secondo la scienza, il nostro universo ha origine da un'esplosione, il già citato Big Bang, esso deve essere necessariamente costituito da particelle collegate le une alle altre. E proprio da questa considerazione prendono le mosse le sacre scritture dell'oriente. I Veda dell'induismo e i Sutra del buddhismo descrivono la realtà come un insieme di aspetti connessi gli uni con gli altri. Se oggi la fisica moderna presenta risultati che sfiorano la metafisica, non si tratta di un avvicinamento tra conoscenze moderne e conoscenze antichissime, ma di una graduale comprensione da parte della scienza al sapere eterno delle dottrine di saggezza.

Se la causalità è confutata, resta la domanda: perché continuare ad attenersi ad essa? Eliminarla del tutto sarebbe per noi, nella nostra società, assolutamente impossibile, perché il nostro pensiero ne è impregnato perfino con riferimento alla lingua (come è dimostrato, ad esempio, proprio da questa frase).

Non c'è, del resto, alcun motivo per continuare ad attenersi ad una sottospecie limitata del pensiero causale come è il sistema scientifico. Possiamo servircene come del mezzo migliore che abbiamo a disposizione per avvicinarci a un universo che «accade» sincronicamente, come già ha fatto Aristotele, ed ampliarla. Il vantaggio di una concezione dilatata della causalità diventa immediatamente evidente non appena esaminiamo scientificamente un evento piuttosto semplice, quale un risultato sportivo. Una corsa di centro metri è troppo lunga e così dobbiamo isolare un piccolo tratto, la partenza. Alla domanda standard della scienza: Qual è la causa dell'improvviso scatto dell'atleta?, si può dare una risposta scientificamente accettabile: il segnale di partenza. Era efficace nel passato e lo è ancora oggi, lo si può produrre e riprodurre senza difficoltà.

Chi è esperto di atletica leggera, non sarà assolutamente soddisfatto di questa risposta e osserverà che la causa più importante dello scatto dell'atleta è il suo desiderio di conquistare la medaglia d'oro. Una eventuale vittoria è però un evento che riguarda il futuro e in quanto tale non può essere accettato dalla scienza come causa. Secondo Aristotele, alla base di ogni evento c'è una causa. Nella corsa dei cento metri, questa sarebbe costituita dalle norme di gara, che vietano dì servirsi per esempio di una bicicletta o di qualsiasi altro aiuto. Inoltre, soltanto grazie a un modello che esiste già da molto tempo, «la corsa dei cento metri», gli atleti sanno in quale direzione devono correre. Infine c'è ancora la base materiale, o causa, come la pista o i muscoli, che anche la scienza accetta. Con quattro cause invece di una non abbiamo ancora raggiunto la verità, ma ci siamo avvicinati ad essa. Se trasferiamo queste quattro cause all'interpretazione della malattia, l'interpretazione effettuata dalla medicina tradizionale verrà certamente completata ed ampliata.

Per abitudine e cecità, accade sovente che per importanti aspetti della malattia ci si rifugi tra le braccia della solita mono causalità. La specifica polmonite viene rimandata soltanto al suo virus e su di essa si smette di interrogarsi. Naturalmente in ogni polmonite sono in giro agenti patogeni, che rappresentano la causa che ha le sue origini nel passato. Che essi però non siano mai i soli responsabili, è dimostrato dal fatto che la maggior parte delle persone sane ne ospita dei simili nei propri polmoni senza ammalarsi. Se però a causa di un grave incidente d'auto ci si ritrova in un reparto di terapia intensiva, è possibile che questi divengano attivi. In questi reparti la probabilità di contrarre polmonite non è alta perché vi sono molti agenti patogeni, anzi in nessun luogo essi vengono combattuti e sterminati in modo altrettanto efficace. Il motivo principale risiede nel conflitto di comunicazione che si instaura: i contatti sono resi possibili solo da un tubo di plastica. Così, come esiste sempre una causa funzionale, esiste una causa rivolta allo scopo o al significato, e anche un modello in cui l'intero evento trova la sua collocazione.

 

 



Ultimo aggiornamento Martedì 21 Ottobre 2008 22:01  

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