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Gli Asclepieia
Nei templi di Asclepio si lodano, oltre al dio, i suoi figli Pedalino, esperto nell'uso delle erbe, e Macaone, chirurgo, guaritori - iatròi - che con il sapiente uso di erbe ed impasti riuscivano a curare i malati; la figlia Panacea, simbolo della salute riconquistata e, quindi, della medicina riparatrice; ed Igea, figlia legittima di Apollo e sorella di Asclepio, che alla medicina terapeutica di quest'ultimo affianca invece quella preventiva, basata su un sano regime di vita.
Gli Asclepieia, i templi del dio della medicina, di cui celebri sono quelli di Epidauro e Pergamo, sorgevano fuori dalle città , in genere in prossimità di un bosco, e di una fonte d'acqua, torrenti o ruscelli la cui acqua veniva poi incanalata verso il tempio, sino a risorgere al centro dell'edificio a costituire la fontana sacra, con una piscina annessa. Coloro che si accingevano ad onorare e pregare il dio dovevano sottoporsi al bagno purificatore, necessario per una pulizia corporale che simboleggia una purificazione dell'animo come preparazione al contatto con sacerdoti e con Asclepio. Il retore greco Elio Aristide (189 d.C.), nei racconti
dei suoi numerosi soggiorni nell'Asclepieion di Pergamo, narra di un fiume che si doveva attraversare per arrivare al tempio, cosicché un primo bagno era già una tappa obbligatoria del percorso. Una strada fatta di pietre, detta "via sacra" portava al luogo consacrato, delimitato da un recinto - temenos - e con un porticato - propylon - atto ad accogliere e riparare dalle intemperie o dal sole i pellegrini.
Coloro che vi arrivavano erano accolti da un apposito personale, che li conduceva dapprima presso gli scribi, che registravano i dati personali e le offerte di ognuno; i pellegrini più ricchi dovevano inoltre pagare la iatra, ossia la debita tassa.
Poi i portieri, che detenevano le chiavi, aprivano loro la porta. Dopo i dovuti lavaggi e un digiuno, si poteva accedere al tempio, originariamente consistente in un semplice spazio recintato' contenente una piscina, un boschetto ed un altare; nel tempo
gli Asclepieia più importanti divennero architettonicamente più complessi, inglobando edifici diversi. Mentre l'altare per le preghiere e i sacrifici e il fuoco sacro rimasero situati all'aria aperta, il luogo di culto vero e proprio, al cui interno era collocata
la statua di Asclepio, era generalmente costruito a forma di Pantheon. Da questo locale sacro si accedeva poi ad un altro ambiente funzionante come poliambulatorio, in cui gli iatroi esercitavano la loro arte pratica di pronto intervento in caso di ferite, traumi per esiti di percosse o cadute e piccole lesioni. Vi era una marcata gerarchia tra i sacerdoti dei templi di Asclepio, ed ognuno esercitava una precisa funzione.
Vi erano così i sacerdoti pirofori, addetti a custodire e mantenere il fuoco sacro e a far luce all'interno degli ambienti; gli iatroi, curatori pratici, salariati grazie alle tasse, che accoglievano coloro che necessitavano di un pronto intervento; i sacerdoti di assistenza e partecipazione ai riti e ai sacrifìci; gli asclepiadi addetti alla funzione di controllo ed assistenza nell’abaton, in grado di spiegare ed interpretare i sogni dei pazienti. Il sommo sacerdote era detto lerofante, intermediario tra l'umano e il divino.
Accanto al tempio sorgeva l’Odeion, il teatro in cui si praticaÂvano sacrifici, preghiere e riti collettivi per potenziare l'intervento medico-terapeutico della divinità .
Dopo aver pregato e reso sacrifici al dio, si poteva accedere alla sala più importante dell'intero edificio: l'abaton, luogo di cura per eccellenza poiché predisposto al ricovero di coloro cui i sacerdoti avevano concesso la possibilità di sottoporsi all'incubatio, ossia al sonno riparatore, all'incontro con il dio. Non tutti i malati che giungevano al tempio erano ammessi all'abaton. Solo coloro che gli asclepiadi avevano giudicato predisposti alla guarigione, dopo rituali di purificazione corporale e spirituale che potevano durare giorni, ricevevano il beneficio dell'incubatio. Probabilmente assopiti con pozioni a base di sostanze sedative o narcotiche, i malati cadevano in un sonno profondo al passaggio del sacerdote con in mano il serpentedi Asclepio, e sognando entravano in contatto con il dio, che poteva presentarsi loro sotto varie forme. Al termine del sonno sacro, i malati si risvegliavano rigenerati
e guariti e raccontavano i loro sogni ai sacerdoti, che li interpretavano per decodificare i consigli e le prescrizioni che il dio aveva voluto dar loro nella notte.
Sulla base del racconto dei sogni, i sacerdoti erano in grado di stabilire di volta in volta se il paziente potesse lasciare l’abaton o dovesse sottoporsi ad un'altra incubatio, e potevano indicare le azioni da espletare ed il regime di vita che il paziente avrebbe dovuto tenere all'uscita dal tempio. Secondo tale rito era quindi lo stesso Asclepio a suggerire la "terapia" da seguire per rimediare alle malattie dei ricoverati nel tempio, cosa, questa, che rende la pratica medica un evento miracoloso, assolutamente legato ad una concezione teurgica della malattia, cui solo gli dei, per tramite dei sacerdoti, possono rimediare. Il sogno è quindi il momento fondamentale della medicina templare, momento di terapia e prognosi al tempo stesso. Riconoscenti al dio, i salvati facevano offerte nel tempio e lasciavano testimonianza della loro gratitudineper l'avvenuta guarigione con steli e lastre di pietra -iamata - in cui incidevano il loro nome, descrivevano il male da cui erano stati afflitti, riportando dettagliatamente le indicazioni terapeutiche ricevute in sogno dal dio.
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