La luce del corpo è l'occhio
Le esperienze esaltanti della coscienza, impossibili da tradurre in parole, accadono nelle nostre vite più frequentemente di quanto vorremmo ammettere. L'esperienza può essere breve, spontanea ed inaspettata ma di una chiarezza nella quale tutto è minutamente percepito dai sensi più fini. E' allora con tranquilla semplicità che noi comprendiamo in modalità differenti ed assai più fini come lo yin sullo lo yang, l'attività sulla contemplazione, la conoscenza naturale sulla saggezza intuitiva, la scienza sopra la religione riescono ad incrementare l'incapacità di lavorare per la loro integrazione.
Allora conoscere, la conoscenza estetica, l'esperienza predominante della vista con l'occhio interiore, l'occhio del cuore, l'occhio dell'amore è uno dei significati, se non il significato principale col quale possiamo realizzare l'unità di tutte le cose: la non dualità .
La luce del corpo è l'occhio - dice Matthew - se lì il tuo occhio è solo, il tuo intero corpo può essere pieno di luce, ma se il tuo occhio è diavolo allora il tuo intero corpo sarà pieno di oscurità . Sicuramente queste enigmatiche parole ci ricordano che conoscere nel pieno senso del termine è "vedere", essere pieni di luce, e non passeggiare nel buio.
Cosa succede in quei piccoli momenti così gentili e così significativi per le nostre vite? Possono essere spiegati ? e se si, così come?
Attualmente è familiare l'idea che la nostra conoscenza di sé non significa o non rappresenta il nostro intero essere. C'è un 'immensa raccolta di evidenze che suggerisce che non solamente i processi inconsci occupano una gran parte dell'attività mentale, ma che anche questa stessa attività ricopre un vasto spettro di diverse attività come sogni, immaginazione creativa, riconoscimento di carattere, concettualizzazione, intuizione ed esperienza religiosa.
La coscienza allora, come dice Kathleen Raine, è come un piccolo circo di luce intorno al quale giacciono le regioni della memoria, alcune visitabili a volontà ed altre no, ed intorno alle nostre memorie personali poi, configurazioni archetipiche ed energie sconosciute della psiche. Intorno ad ogni cosa che possiamo, anche lontanamente chiamare noi stessi, c'è quello che i mistici hanno chiamato il terreno divino, la presenza, di ciò che, per la nostra anima, può essere chiamato Dio.
I misteri prendono molti nomi: nous per i greci, mens per i mistici, pneuma o spirito per S. Paolo, che descrive questa presenza nella parte più profonda e centrale della psiche umana, come il respiro vivente di Dio dal quale tutte le cose sono continuamente sostenute e create.
Sebbene questa presenza sia chiamata talvolta il sovraconscio o sé transpersonale - in contrasto con il limitato conscio, pieno di ego personale, regno - nelle parole di Blake - della personalità di Satana, al quale essa è interamente opposta, per me stesso io preferisco usare il nome con la quale essa è più conosciuta: anima.
Una interpretazione non dissimile della divinità di tutto si può trovare nel classico della letteratura sanscrita, le Upanishad, dove le parole Brahman il terreno dell'essere universale e Atman, il terreno dell'essere personale, descrivono rispettivamente quello che può essere tradotto come lo Spirito Santo e la sua indivisibile presenza in ciascuno di noi.
Per la verità può essere che Dio non debba essere sentito come qualcosa di lontano e separato da noi, in un cielo al quale ascendiamo dopo la morte, ma piuttosto come qualcosa racchiuso in mano sempre e per sempre nel più profondo di noi: più profondo a noi -come dice Tommaso D'Aquino - di quanto noi siamo a noi stessi. Questa santità della vita non è qualcosa di predicato o predicabile, come un attributo, ma è inerente alla divina natura del terreno, lo spirito divino dell'umanità .
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